Pasqua 2012 |
Scritto da don Angelo Scarabottolo |
Domenica di Pasqua 2012 “Siamo già a Pasqua e non mi sono neppure accorto”, è una scusa bell’e buona. Una scusa per giustificare la nostra accidiosa vita di fede, il nostro scarso desiderio delle cose di Dio. E così, come ogni anno ci ritroviamo a correre ai ripari all’ultimo momento: si va una volta di più in chiesa rispetto al solito appuntamento settimanale della Domenica, si da una bella “ripulita” all’anima con la confessione (magari senza grandi peccati da dire, anche per non far perdere tempo al prete perché la fila di penitenti è lunga, in questi giorni), si fa la comunione durante la Veglia Pasquale (che nessuno ci dice mai bene se vale come messa per il giorno dopo…), e siamo a posto! Abbiamo “fatto Pasqua”! Arrivederci alla prossima ricorrenza liturgica! Forse non è così: forse esagero, o dovrei parlare per me, senza permettermi di giudicare il modo degli altri di “fare Pasqua”. E allora chiedo scusa, e rivolgo la mia attenzione a questa dicitura che sono certo fare parte del nostro dizionario religioso: “Fare Pasqua”. E’ una dicitura che mi è sempre suonata un po’ strana, vuoi anche solo per il fatto che l’unico che ha “fatto Pasqua” è Gesù Cristo, e noi commemoriamo la sua Pasqua ogni volta che, nel corso dell’anno liturgico, giungiamo alla contemplazione di quei giorni che costituiscono il culmine della nostra redenzione. Eppure, io ritengo che non sia giusto pensare di “fare Pasqua” solo attraverso la commemorazione e la celebrazione, per devote che possano risultare, dei riti della Settimana Santa. Ci vuole qualcosa di più. Ci vuole, a mio avviso, la capacità di “fare Pasqua” e di risorgere con Cristo a vita nuova nonostante la vecchia vita che ci circonda di tutto ci parli meno che di resurrezione. E allora, siamo sinceri: sappiamo fare Pasqua nonostante tutto? Sappiamo fare Pasqua nonostante che sul mondo vengano gettate inutilmente troppe bombe “intelligenti”, che poi si dimostrano doppiamente ignoranti rispetto a ciò che già erano? Sappiamo fare Pasqua nonostante continuino a esserci troppe vittime innocenti? Sappiamo fare Pasqua nonostante l’immagine dei potenti della terra crolli miseramente dietro una becera figura di incapaci e impotenti a costruire la pace e la giustizia? Sappiamo fare Pasqua nonostante mentre mangiamo ci arrivino sotto gli occhi dalla televisione immagini che non ci possono lasciare tranquilli e dopo due minuti ci “passano” la pubblicità di cibo per i gatti? Sappiamo fare Pasqua nonostante la vita sia stata inclemente con noi, e ci abbia costretto alla malattia cronica, grave, irreversibile, lunga, dovendo magari dipendere dagli altri? Sappiamo fare Pasqua nonostante ci sia gente costretta a farla in un luogo – il posto di lavoro – dove oggi sarebbe giusto non starci? O che il posto di lavoro non ci sia più? Sappiamo fare Pasqua nonostante ci si è sacrificati per crescere bene i figli e questi si comportino tutt’altro che bene? Sappiamo fare Pasqua nonostante si vada in Chiesa e si vedano uomini e donne di Chiesa comportarsi tutt’altro che cristianamente? Sappiamo fare Pasqua nonostante lavoriamo onestamente e i furbi sul lavoro (colleghi o padroni che siano) approfittano di noi? Sappiamo fare Pasqua nonostante le borse mondiali salgano e scendano in base ai giochi della guerra e la nostra borsa, quella di casa, continua solo a scendere, perché a noi di questi giochi di potere non ne viene nulla? Sappiamo fare Pasqua nonostante la morte di qualche persona cara non ci lasci in pace? Sappiamo fare Pasqua nonostante le nostre ansie, le nostre preoccupazioni, le nostre depressioni, i nostri problemi sembrino schiacciarci la vita? Sappiamo fare Pasqua nonostante – aprendo il giornale – vediamo solo pagine di cronaca nera? Se abbiamo risposto “si” a tutte queste domande, siamo uomini e donne di speranza, che sanno – come i grandi della fede – sperare contro ogni speranza. La Pasqua non risolve le malvagità del mondo, le lascia lì, dove sono, al loro posto, come la zizzania che cresce con il grano buono. Perché con la morte i conti si fanno alla fine. La Pasqua, tutte queste cose, le redime, cioè le salva, le fa sante, proprio ridando loro speranza. Cristo prende quel pezzo di legno, tutto storto, pieno di nodi, scheggiato e ormai pieno di sangue e lo trasforma nel più diffuso tra i “patiboli” appesi al collo come gioiello, anche al collo dei potenti, di quelli che nella croce non credono, ma che le croci le fabbricano agli altri, all’umanità. È come trasformare una sedia elettrica, una ghigliottina, una forca in segno di salvezza. “In hoc signo vinces” – “Nel segno della Croce vincerai”, disse Cristo apparendo in sogno prima della battaglia all’Imperatore Costantino. Ancora oggi Cristo ci dice: “In questo segno vincerai”, ma stavolta non è più un sogno legato alla guerra, è la realtà della Pasqua legata alla pace e quindi alla vita. In questo segno di morte troverai la salvezza se saprai “sperare conto ogni speranza”. La Speranza è l’ultima a morire; anzi, in Cristo la speranza non muore più, perché è Cristo che non muore più: la morte, da oggi, non ha più potere su di lui! |