Noi gemelli di Tommaso |
Giovanni evangelista chiude il suo Vangelo (secondo gli studiosi infatti questa è una prima chiusura dello scritto, al quale è aggiunto successivamente il capitolo 21) con questo incontro tra il Risorto e i suoi amici, e tra questi spicca Tommaso chiamato Didimo… che in greco significa gemello. Tommaso chiamato il gemello! Chissà chi è questo gemello di Tommaso… Forse sono proprio io, siamo noi! Siamo tutti gemelli della storia di Tommaso. Giovanni dice che questi eventi su Gesù e in particolare i segni da lui compiuti sono stati scritti perché alimentino la fede, e perché in questa fede troviamo vita. Il Vangelo non ha il potere di un libro di formule magiche che in qualche modo misterioso costringono a credere in Dio. Per molti, sia nel passato che oggi, questi racconti non hanno alcun valore e potenza, e anche se li leggono o studiano non trovano in essi nulla che li porti a credere in Dio e nella Resurrezione di Gesù. Ma il vangelo è (proprio come dice Giovanni alla fine) un racconto di una esperienza personale e di gruppo di persone che oggi non ci sono più, ma che in quell’esperienza diretta di Gesù hanno trovato il senso della loro vita. Quando gli apostoli dicono a Tommaso “abbiamo visto il Signore”, lui non ci crede, o meglio non crede che l’esperienza fatta sia significativa. La sua assenza al momento della prima apparizione del risorto è davvero provvidenziale! In questa esperienza di “non-esperienza” del Risorto viene data dignità anche all’esperienza molto umana della fatica del credere. Faticare a credere non è “fuori del vangelo”, ma fa parte dell’esperienza umana. Senza quella assenza di Tommaso, che evidenzia la sua difficoltà di credere nella Resurrezione, non troverebbero spazio le nostre esperienze personali di fede. Anche Matteo nel suo Vangelo, quando alla fine racconta dell’apparizione del Risorto, sottolinea che “essi però dubitavano” (Matteo 28,17) Tommaso non crede se non tocca con mano e non vede con i propri occhi che è proprio quello che lui ha visto morire che è ritornato alla vita… Io non ho mai visto Gesù vivente in carne ed ossa, e quindi per credere alla sua resurrezione non mi servono le prove che invece chiede Tommaso. Io faccio fatica a credere che “il Signore è risorto” quando attorno a me i segni del male e della morte sembrano più grandi e potenti. Faccio fatica a credere a quello che solo una settimana fa ho celebrato con tanto fervore, perché, già appena spente le candele dell’altare alla fine della celebrazione, mi ritrovo con le mie piccolezze e i miei problemi che non sono “magicamente” scomparsi: il dubbio che sia tutta una bella messa in scena non è mai cacciato del tutto. E sinceramente ho un po’ paura di quelli che “non hanno dubbi” e a cui credere in Dio sembra facile come credere che domani sorge il sole. Meno male quindi che il racconto del Vangelo ci porta a Tommaso, al fatto che non c’era quella volta che Gesù apparve. Tommaso e la sua assenza mi fa sentire più in pace, perché anche io non ci sono sempre quando Dio sembra dare segni della sua presenza, e sono pieno di dubbi e domande. Il racconto del Vangelo è quindi una proposta che vuole entrare in sintonia con tutto quel che sono, fede e dubbio, virtù e peccato, pregi e difetti, gioie e dolori della vita. Giovanni evangelista mi dice (e non me lo impone) che l’incontro con il Risorto è possibile anche per me che dubito e che sono tentato di mollare. E mi dice che nel credere trovo la vita, quel desiderio di vivere che è alla base di ogni mio sentire…
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